Il Nebbiolo che viene dal freddo
Ci sono casi nei quali l’uomo chiede alla natura qualcosa in più, casi nei quali si chiede al nebbiolo (“chiavennasca”, secondo tradizione locale) di esprimersi dove pochi altri vitigni riescono a raggiungere tali livelli. In Valtellina, gli uomini hanno deciso che i ripidi pendii non dovessero essere un ostacolo alla viticoltura e nei secoli hanno modellato terrazzamenti e muretti a secco a difesa della possibilità di produrre vino; Pietro Balgera, già nell’Ottocento, aveva intuito le potenzialità della chiavennasca.
La fermentazione alcolica viene innescata da lieviti indigeni. Il vino affina in grandi botti di rovere per due anni; prosegue per altri due in botti più piccole; completa il suo percorso con altri 12 mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
Per essere 2005 (degustata oggi nel 2019), stupisce per la luminosità dei suoi riflessi granati.
Il naso è delicatissimo. Stende un tappeto di lamponi, piccoli fiori selvatici, con note di nocciola e lievi richiami minerali; la violetta regna nel calice.
Il sorso è elegante, i tannini sono setosi. Leggiadro, delicato come i fiori già percepiti al naso. Si ha quasi paura a rotearlo nel bicchiere come se si tenesse in mano una statuina di Swarovski. Fresco, scorre piacevole in bocca. Di buona persistenza con un finale armonico ed estremamente fine.
E’ un vino che vuole stare nel bicchiere e accompagnarti con discrezione lungo tutto il pasto, senza strappi né strattoni, senza voler essere necessariamente lui il protagonista…almeno non prima di aver colto il vero senso di questa bottiglia: la finezza. Da quel momento non li si abbandona più.
Nel bicchiere un sorso di freddo vento di montagna.
Bene con le carni rosse, perfetto con un formaggio stagionato o carne in salmì. Proviamo con una braciola di cervo con frutti di bosco?